sabato 5 luglio 2008

Bruce Springsteen @ San Siro, Milano, 2008 – Take 3#

Il concerto di Bruce Springsteen al Meazza ha sicuramente battuto molti record, oltre ai 62.000 biglietti sold-out in poche ore lo scorso dicembre.

In primo luogo questa volta la BarleyArts si è superata a livello organizzativo: mai, nei concerti del Boss al Meazza, la distribuzione dei braccialetti per il pit era iniziata alle 9.45 e terminata alle 12. L’operazione si è svolta così in modo tranquillo e scorrevole, senza intoppi a parte il gran caldo che stava già assalendo Milano e qualche furbetto che cercava, inutilmente, di saltare la fila. Speriamo che quest’esperienza positiva venga ripetuta in futuro per altri eventi: al prezzo di una sveglia mattutina per lo staff, si possono evitare caos e contestazioni, a beneficio dei fan e del personale dell’organizzazione.

Da sottolineare anche la presenza, fin dalla mattinata, dei volontari della Croce Rossa. Infatti i paramedici si sono rivelati indispensabili durante le ore più calde della giornata quando sono incominciati i primi malori dei fan in coda sotto al sole cocente.

Rimane invece un mistero il motivo della completa assenza di bagni chimici fuori dallo stadio. La BarleyArts avrà sicuramente risparmiato, ma i costi sono ricaduti sugli spettatori, costretti ad affollare i pochi bar della zona.

Ineccepibile invece la situazione all’interno del Meazza: abbastanza servizi, tantissimi stewards e molta acqua gratis alle prime file durante il concerto. Non sono comunque mancati i venditori di bevande che aumentavano a dismisura i prezzi, ma la responsabilità non può essere attribuita alla BarleyArts.

Infine si deve ricordare l’encomiabile tentativo, annunciato con un comunicato qualche giorno prima del concerto, da parte del Comune di Milano per gestire il traffico intorno a San Siro. Solo gli abitanti del quartiere avrebbero potuto accedere alla zona con la propria automobile, mentre gli spettatori avrebbero dovuto parcheggiare più lontano ed arrivare allo stadio con mezzi pubblici. Peccato però che dei vigili urbani non si è vista neppure l’ombra e questo splendido progetto è rimasto sulla carta, per la gioia (si fa per dire) dei residenti: l’invasione dei 62.000 fan ha infatti bloccato il traffico fin dal primo pomeriggio e la viabilità è diventata insostenibile una volta terminato il concerto.



P.S. Una strappalacrime Take 4# (aka recensione) sul probabile ultimo concerto della E-Street Band a San Siro sarebbe veramente scontata a questo punto. Meglio non aggiungere altro inchiostro ai fiumi versati dai giornali; dopotutto, quelle tre ore di viaggio tra brani nuovi e vecchi rimarranno per sempre nella memoria dei fan del Boss.


martedì 24 giugno 2008

Bruce Springsteen @ San Siro, Milano, 2008 – Take 2#

Lo sparuto gruppetto a cui si accennava nel post sottostante assume in realtà proporzioni variabili. Il motivo ? Non mere questioni fisiologiche: è tutto merito (o colpa) della Lista. La Lista è un mezzo per portare una parvenza di ordine nel caos dell’attesa, un modello per combattere la naturale entropia del sistema-concerto. Questa strabiliante invenzione è da attribuire ai fan di Springsteen, ma è stata applicata, con diverso successo, anche da spettatori di altri artisti.

Straordinaria nella sua semplicità, essa consiste nel segnare su un apposito foglio l’ordine di arrivo dei fan alla venue. Una volta ufficialmente iscritti, è sufficiente presentarsi agli appelli che avvengono ogni due o tre ore.
Qualcuno potrebbe sorridere: un metodo così astruso per non stare in fila qualche ora! E’ però più che logico se si considera che i fan del boss si accampano davanti ai cancelli anche un giorno prima del concerto e in alcuni casi, che sfiorano il patologico, anche con quattro o cinque giorni di anticipo.

Come tutte le creazioni della mente umana, la Lista non è infallibile. Infatti il capolista chiude speso un occhio se i suoi amici saltano un appello. Inoltre se c’è più di un’entrata, si presenta invariabilmente il problema di come ripartire i fan in modo equo: le contestazioni sono sempre in agguato.

Forse il vero merito della Lista è di rimandare la furiosa battaglia per la prima fila al fatidico momento dell’apertura dei cancelli. Infatti in quei 100 metri corsi con il cuore in gola e sulle spalle i litri di acqua che la polizia non è riuscita a sequestrare può accadere di tutto. Non è raro ritrovarsi alla fine più avanti o indietro di quanto dovuto. A quel punto però è inutile recriminare:la Lista è la legge solo fuori dai cancelli.


P.S. Per queste righe vale lo stesso disclaimer delle precedenti: non prendetele troppo sul serio

Bruce Springsteen @ San Siro, Milano, 2008 – Take 1#

Forse qualche residente del quartiere San Siro, rientrando a casa dal lavoro, si stropiccerà gli occhi affaticati dalla prima calura estiva, meravigliandosi alla vista di uno sparuto gruppetto di gente radunato davanti ai cancelli dello stadio. Questo milanese medio getterà un’occhiata di sfuggita all’orologio della propria automobile: che abbia perso un giorno? Convinto com’è che quel giorno al Meazza non ci debba essere alcun evento, si arrovella un attimo sull’apparente contraddizione prima dell’improvvisa illuminazione:

“Quel cantautore americano ….. Springsteen……. suona domani. Vuoi vedere che quei pazzi sono già là per lui?”

Il nostro professionista legge, dopotutto, i quotidiani: molti hanno dedicato qualche riga o qualche pagina, virtuale o cartacea, al Boss e al suo terzo concerto a San Siro. Il Corsera ha ripescato addirittura gli articoli e le foto dei memorabili show del 1985, esordio del Boss nello stivale, e del 2003, suo trionfale ritorno sotto un violento acquazzone.

“Ah, questi giovani” sospira l’ignoto residente, tra il divertito e l’infastidito, mentre preme sull’acceleratore, ansioso di trovare un posteggio libero che gli permetta di sfuggire all’infernale traffico di Milano; sarebbe molto sorpreso se gli venisse detto che i giovani, i ventenni, saranno in minoranza quella notte. Infatti le sofferte nottate per guadagnare una prima fila non sono proprio per i neofiti, cioè gli under 20: la maggioranza è composta da trentenni, seguiti da un buon numero di quarantenni. Non manca nemmeno l’occasionale cinquantenne, al suo n-esimo concerto, indifferente all’invidia che suscita con i suoi minuziosi racconti della sua vita passata alle calcagna del Boss.

Di certo questo stanco lavoratore, che, appena varcata la soglia dell’appartamento, è stato accolto dall’abituale litigio tra la figlia in piena ribellione adolescenziale e la madre preoccupata, non immagina che, una volta dentro allo stadio, quegli attempati spettatori si scatenano molto di più della sua adolescente al concerto di Madonna. Per avere il magico braccialetto, il pass per il pit (la zona sotto al palco, ndr) ogni mezzo è lecito: altro che “Peace, Love & Understanding”! E, raggiunta questa zona per gli eletti, non ci si ferma finché non si tocca la transenna. A Bruce non sembra importare: lui adora lo sfrenato pubblico italiano. I fan stranieri, venuti in Italia spinti dalle leggende degli indimenticabili show italiani del Boss, sono un po’ meno contenti e inorridiscono quando l’esuberanza sfocia nella maleducazione e nella prepotenza.

Intanto, nell’appartamento milanese, mentre la ragazzina e il suo pestifero fratello si contendono il telecomando della TV ultrapiatta, i loro genitori si trovano a discutere, come avviene ogni volta che il Meazza viene preso d’assalto per partite o concerti, se non è il caso di trovare un’altra casa.

“Guarda che stavolta le auto dei non residenti non entrano nel quartiere” dice lui fiducioso.

“Macché” ribatte lei acida “secondo te, quelli là davanti allo stadio dove hanno lasciate le macchine? E domani, chi gliele fa spostare più?”

Incredibile, ma anche davanti ai cancelli si parla di posteggi: dove portare le macchine quando scatta l’ora X, alle 13, chi rimane in fila, quanto sono distanti i parcheggi….. un vero e proprio piano di battaglia. Poi ci si prepara per la notte: non che si dorma molto in realtà, tra il rumore del traffico, il chiacchiericcio e il duro asfalto. Fastidi da niente, per i seguaci del Boss: ogni singolo minuto di attesa sarà pienamente ripagato dalle quasi tre ore di concerto.

“Semel in anno licet insanire” dicevano i latini: per i fan(atici) di Springsteen però non avviene a Carnevale.

P.S. Per chi non l'avesse capito questo pezzo è ironico e soprattutto autoironico

giovedì 19 giugno 2008

In Extremo: peccatori sfrenati

Con gli In Extremo ci troviamo nel mondo dei generi ibridi che sfiorano sia il metal che il folk senza però possedere tutti i connotati propri del Folk Metal. Per questo motivo in Germania hanno coniato un termine per definire tutte quelle band che si presentano sul palco con cornamuse, arpe, chitarre elettriche e batteria: “Mittelalter Rock”, Medieval Rock.

Questa caratterizzazione è perfetta per un disco come Sünder ohne Zügel (lett. Peccatori sfrenati) nel quale sono presenti pezzi cantanti in latino (“Stetit Puella”) , pezzi tratti dal folklore tedesco (“Merseburger Zaubersprüche II”) e canzoni rock accattivanti (“Wind”). Forse i pezzi che meglio rappresentano la fusione che la band opera tra antico e moderno, folk e rock, sono “Vollmond” e “Der Rattenfänger”. Il testo della prima traccia è tratto dalle opere del poeta francese François Villon, ma cantato su una base di chitarre distorte accompagnate dal suono limpido delle cornamuse, mentre la seconda canzone mette in musica un poema di Goethe sul pifferaio magico di Hamelin. Non possono poi mancare le escursioni nella lingua latina con rivisitazioni dei Carmina Burana: dopotutto il nome della band (che significa proprio “all’estremo”) è tratto dal latino. In “Le 'or Chiyuchech” si cimentano invece in un pezzo popolare ebraico, ma anche qui non mancano riff di chitarra che modernizzano la canzone.

Se nel 2002 questo album rappresentava una nuova, innovativa sintesi musicale, anche adesso, nonostante siano spuntate molte altre band che propongono una musica simile, rimane uno dei capisaldi del Medieval Rock tedesco.

Band: In Extremo

Album: Sünder ohne Zügel

Etichetta discografica: Island Records

Anno: 2002

Genere che più si avvicina all’album: Medieval Rock

Dove suoneranno: Metalcamp, Feuertanz Festival

Pagina ufficiale: http://www.inextremo.de

MySpace: http://www.myspace.com/inextremoband

Tracce:

  1. Wind (In Extremo)
  2. Krummavísur (Jón Thoroddsen - Musica tradizionale - In Extremo)
  3. Lebensbeichte (Carmina Burana, 11th or 12th century/In Extremo)
  4. Merseburger Zaubersprüche II (autore sconosciuto del IX o X secolo - In Extremo)
  5. Stetit Puella (Carmina Burana, XI o XII secolo - In Extremo)
  6. Vollmond (François Villon, XV secolo – In Extremo)
  7. Die Gier (In Extremo)
  8. Omnia Sol Temperat (Carmina Burana, XI o XII secolo - In Extremo)
  9. Le'or Chiyuchech (In Extremo - Neeman)
  10. Der Rattenfänger (Goethe - In Extremo)
  11. Óskasteinar (Hildigunnur Halldórsdóttir - Musica tradizionale - In Extremo)
  12. Nature Nous Semont (Jean de Beaumont - In Extremo)
  13. Unter dem Meer (In Extremo)


lunedì 16 giugno 2008

L'ennesima fatica di Mr. V.

Sembra proprio che lo svedese Andreas Hedlund non conosca paralisi creative: dopo aver fondato le band Otyg, Fission, Cronian, Borknagar e Vintersorg, che utilizza anche come nome d’arte, abbreviato spesso in Mr. V, ecco spuntare nel 2006 Waterclime, un solo-project incentrato sul rock progressivo.

The Astral Factor si discosta quindi dagli album metal prodotti da Vintersorg. Le chitarre si mantengono pulite per quasi tutto l’album e le tastiere ricordano molto i suoni dell’organo Hammond come in “The Astral Factor”, una delle tracce più orecchiabili, nonostante le lyrics legate all’astronomia e all’universo. “Midnight Flyer”, cover di David Byron, storico cantante degli Uriah Heep, è un’altra canzone di facile ascolto, in cui il suono si fa più sporco e il ritmo dettato dalla batteria diventa più veloce. Tutto l’album ricorda in modo impressionante le sonorità del progressive rock degli anni Settanta, senza però assumere i connotati psichedelici dell’epoca. Semmai la sperimentazione di Mr. V si avvicina maggiormente al jazz nelle ultime tracce del disco, “Scarytale” e “Timewind”.

Il primo album di Waterclime è in conclusione e un’opera complessa e di non facile ascolto. Anche i fan di Vintersorg vi ritroveranno ben poche somiglianze con gli altri lavori dell’artista: solamente la voce e le tematiche legate alla natura e al cosmo permettono di identificare il disco come un prodotto di Mr. V. The Astral Factor è consigliato a chi già ascolta il progressive rock; sarà invece una sfida apprezzare questo disco per chi è maggiormente orientato verso il metal.


Band: Waterclime

Album: The Astral Factor

Etichetta discografica: Lion Music

Anno: 2006

Genere che più si avvicina all’album: Progressive Rock

MySpace: http://www.myspace.com/waterclime

Tracce:

  1. Mountains
  2. Floating
  3. The Astral Factor
  4. Diamond Moon
  5. Painting Without Colours
  6. Midnight Flyer
  7. Scarytale
  8. Timewind



domenica 15 giugno 2008

Runrig: rockin' the Highlands

I Runrig sono uno dei pochi gruppi scozzesi di successo; il merito va soprattutto alla magica alchimia di musica folk tradizionale e sonorità più legate al rock. The Highland Connection è il secondo album di questa band proveniente dalla piccola e impervia Isola di Skye. Prodotto nel 1979, fu all’epoca un fulmine a ciel sereno che sconvolse il panorama musicale scozzese.

Infatti i Runrig raccolgono in parte l’eredità delle band di folk rock americano: rock, chitarre distorte e strumenti tradizionali, mantenendo però i testi in gaelico. In alcune tracce, “Fichead Bliadhna” su tutte, le chitarre distorte raggiungono melodie epiche. Ma il clou del disco è una ballad in inglese, “Loch Lomond”: Donnie Munro mette i brividi dando voce a un anonimo ribelle scozzese, giustiziato nel Settecento. “Morning Tide” sfoggia anch’essa un ritornello accattivante mentre è più deludente l’altra ballata in inglese “Going Home”, forse il punto debole del disco.

È da notare che le tracce strumentali “What Time” e “The Twenty Five Pounder” non sono niente similari ai classici pezzi “da pub”: la cornamusa e la fisarmonica di Malcolm Jones non dominano il pezzo ma dialogano con gli altri strumenti. Solo un paio di canzoni sono in realtà delle composizioni tradizionali, ad esempio “Gamhna Gealla”, e vengono comunque arrangiati in chiave elettrica dai fratelli Rory e Calum MacDonald, rispettivamente bassista e percussionista della band. Trent’anni di distanza non riescono a scalfire la freschezza e l’immediatezza di questo disco, consigliato in primis a chiunque ami la Scozia, ma anche a chi vuole viaggiare con la mente tra le vallate e laghi scozzesi battuti dal vento.


Band: Runrig

Album: The Highland Connection

Etichetta discografica: Ridge

Anno: 1979

Genere che più si avvicina all’album: Scottish Folk Rock

Dove suoneranno: i Runrig sono spesso in tour in Scozia, Germania e Danimarca, e tutte le date sono sul loro sito web

Pagina ufficiale: http://www.runrig.co.uk/

MySpace: http://www.myspace.com/runrigofficial

Tracce:

  1. Gamhna Gealla
  2. Mairi
  3. What Time
  4. Fichead Bliadhna - Na Luing air Seoladh
  5. Loch Lomond
  6. Na h-uain A's t-Earrach
  7. Foghar nan Eilean '78
  8. The Twenty Five Pounder
  9. Going Home
  10. Morning Tide
  11. Cearcal a Chuain

giovedì 12 giugno 2008

Reprise: un'odissea nella terra del ghiaccio

Avevamo lasciato Bragi lo Scaldo spinto dalla sete di vendetta alla fine di Red For Fire. nel sesto album dei Solefald, Black For Death la conclusione della saga è affidata alla voce di Loki, dio astuto e ingannatore del Panteon nordico.

Qui è il violino che apre le danze su “Red For Fire, Black For Death” e rimane presente anche quando la canzone si trasforma in un pezzo black. La musica si fa più ambient in “Queen In the Bay of Smoke”, dove si ricordano le menzogne della regina islandese, e diventa più heavy in “Silver Dwarf”, dove Bragi riceve una lezione di coraggio da un nano.

Il sassofono che aveva aperto il precedente capitolo della saga torna nell’intermezzo strumentale “Underworld”, che porta all’energica “Necrodyssey” di Bragi attraverso il mondo sotterraneo.

E così, dopo recitazioni di parti del Lokasenna (quella parte dell’Edda Poetica nella quale si racconta del litigio di Loki con gli altri dei), si arriva a “Loki Trickster God” che riprende la musica di “White Frost Queen” dall’album precedente. Questa volta, per narrare di come Loki aveva ricattato la regina, c’è un formidabile Trickster G. (Garm degli Ulver) a interpretare il dio ingannatore.

Ma il destino di Bragi è segnato: uccide il re e ferisce Loki prima di venire lui stesso colpito a morte, mentre la regina fugge, questi ultimi eventi concitati rappresentati nella strumentale “Dark Waves Dying”, dove torna in primo piano ancora il sassofono per un effetto jazz. Infine “Sagateller” affida l’ultima parola ai bardi e poeti che raccontano le gesta dei popoli nordici, quasi un inno alla loro opera.

È inevitabile il confronto tra i due capitoli della saga nordica dei Solefald. Ovviamente Black For Death è meno originale di Red For Fire, perché riprende molti temi del suo predecessore sia musicalmente che a livello di testi. I due album però sono ancora una volta la prova di come il duo Cornelius-Lars sia capace di sfornare un’opera complessa e innovativa, ma al tempo stesso ascoltabile e apprezzabile con abbastanza immediatezza.


Band: Solefald

Album: Black For Death: An Icelandic Odissey: Part II

Etichetta discografica: Season of Mist

Anno: 2006

Genere che più si avvicina all’album: Avantgarde Black Metal

Pagina ufficiale: http://www.solefald.no

MySpace: http://www.myspace.com/solefaldofficial

Tracce:

  1. Red For Fire, Black For Death
  2. Queen In the Bay of Smoke
  3. Silver Dwarf
  4. Underworld
  5. Necrodyssy
  6. Allfathers
  7. Lokasenna Part 2
  8. Loki Trickster God
  9. Spoken to the End of All
  10. Dark Waves Dying
  11. Lokasenna Part 3
  12. Sagateller

Un'odissea nella terra del ghiaccio

Un accenno alla biografia di questo duo norvegese è d’obbligo: alla chitarra, basso e voce troviamo Cornelius Jakhelln, scrittore e filosofo con addirittura due Ph.D in Filosofia, mentre al sintetizzatore, batteria e voce c’è Lars Nedland, che è presentatore televisivo ma nel frattempo milita nei Borknagar, e ha fatto parte di Asmegin e Carpathian Forest.

Da sempre caratterizzati dalla voglia di sperimentare sia a livello di suoni che di testi, i Solefald non cambiano rotta per Red For Fire, il quinto album del gruppo. Sorprende infatti il sassofono che apre l’album, sfumando poi in un crescendo epico nella prima traccia “Sun I Call”. Poi il suono diventa martellante mentre Bragi lo Scaldo, il poeta, racconta in “Survival of the Outlaw” del suo ingiusto esilio decretato dal re islandese sulla base delle false accuse della regina. Ecco poi i malvagi nani spingere Bragi nel sottosuolo, condannandolo a sopportare svariate ordalie in “Where Birds Have Never Been”. Il resoconto delle sue sofferenze è interrotto dalla melodica “White Frost Queen” dove Aggie Frost Peterson da voce alla regina e duetta con un violino. Ma ritorniamo al nostro protagonista nell’epica “Crater of the Valkyries”, pezzo dal tono black melodico, in cui Odino concede a Bragi di tornare a Reykjavik per avere giustizia. Infine in “Sea I Called” viene ripreso in chiave elettrica il tema iniziale della prima canzone con il poeta che canta nuovamente i versi di apertura.

Si conclude così (provvisoriamente) questa odissea islandese. Ai Solefald va sicuramente riconosciuto il merito di aver creato un concept album staccandosi dai soliti racconti della mitologia scandinava. Anche rispetto alla musica si deve sottolineare l’originalità dell’album, con forti influenze jazz e ambient anche nei pezzi dove si spinge di più sul pedale del distorsore. Non fatevi perciò trarre in inganno dalla tematica legata al mondo nordico e vichingo: Red For Fire rimane un album sperimentale al 100% sia nei testi che nei suoni.

Band: Solefald

Album: Red For Fire: An Icelandic Odissey: Part I

Etichetta discografica: Season of Mist

Anno: 2005

Genere che più si avvicina all’album: Avantgarde Black Metal

Pagina ufficiale: http://www.solefald.no

MySpace: http://www.myspace.com/solefaldofficial

Tracce:

  1. Sun I Call
  2. Survival of the Outlaw
  3. Where Birds Have Never Been
  4. Bragi
  5. White Frost Queen
  6. There Is Need
  7. Prayer of A Son
  8. Crater of the Valkyries
  9. Sea I Called
  10. Lokasenna

martedì 10 giugno 2008

Viaggio nella desolazione della vita

Gli Agalloch non calcano grandi palchi (anzi di live shows ne fanno ben pochi) ma questi tre ragazzi dell’Oregon sono riusciti a produrre con ogni album un capolavoro sconosciuto alla gran parte del mondo Metal.

The Mantle, il loro secondo album, apre sulle note dell’evocativo intro ambient “A Celebration For The Death Of Man...”, ma non lasciatevi ingannare: già sulla canzone successiva John Haughm si cimenta in un cantato screaming alternato a cori eterei. Le chitarre acustiche sono prominenti un po’ in tutto l’album, persino su “I Am The Wooden Doors”, il pezzo forse più black dell’opera, mentre su “The Lodge” lasciano spazio al suono più fosco di un violoncello. Eleganti e curate, le canzoni scorrono l’una dopo l’altra come se fossero una traccia unica, e in effetti sono un continuum sia musicalmente che per quanto riguarda i testi, intensi, complessi e decisamente criptici. Una vena gotica e lugubre scorre per tutto l’album, passando dalla ricerca di Dio, all’oscurità delle tombe, a fantasmi disperati, fino a una riflessione sulla fragilità della vita e della Terra.

La musica magica e sublime degli 11 minuti di “The Hawthorne Passage”, a tratti più epica e solenne, a tratti più atmosferica e evocativa, ci porta verso quella che è la conclusione perfetta, “A Desolation Song”, che racchiude ed esprime intensamente lo spirito di solitudine e desolazione dell’intero disco, con Haughm che sussurra all’ascoltatore ormai ipnotizzato la sua tragica visione della vita in cui nemmeno l’amore è capace di dare sollievo.

In conclusione, questo è un album che, per essere americano, racchiude raffinatissimi pezzi dalle sonorità decisamente europee, anzi scandinave. Atmosferico e solenne, con quella giusta dose di black per non renderlo troppo soft, The Mantle è un disco perfetto per chiunque voglia sentire una musica originale e ricercata.


Band: Agalloch

Album: The Mantle

Etichetta discografica: The End Records

Anno: 2003

Genere che più si avvicina all’album: Atmospheric Post – Black Metal

Pagina ufficiale: http://www.agalloch.org/

MySpace: http://www.myspace.com/agalloch

Band:

John Haughm − vocals, guitar
Don Anderson − guitar
Jason William Walton − bass guitar

Tracks:

  1. A Celebration for the Death of Man...
  2. In the Shadow of Our Pale Companion
  3. Odal
  4. I Am the Wooden Doors
  5. The Lodge
  6. You Were but a Ghost in My Arms
  7. The Hawthorne Passage
  8. ...and the Great Cold Death of the Earth
  9. A Desolation Song


venerdì 6 giugno 2008

Tra cavalieri e menestrelli al Dark Folk Fest di Bologna

Dark Folk Fest, 25 Maggio 2008, Estragon, Bologna


È comparso un nuovo evento per i fan del folk rock e metal: il Dark Folk Fest organizzato da Bologna Rock City per il 25 Maggio 2008. La prima edizione di questo festival, nato come “fratello” folk del più famoso Dark Fest di stampo gotico della stessa organizzazione, ha visto i Saltatio Mortis come headliner e poi, s
cendendo nella lineup, Faun, Dornenreich e Yggdrasill.

Ma, prima del report del concerto, non si può non accennare all’encomiabile tentativo di creare un piccolo mercato medievale davanti all’Estragon. Tra un bicchiere di idromele e una pinta di birra artigianale, il pubblico ha potuto curiosare tra stand di armi medievali e venditori di mantelli elfici, ed assistere a duelli tra cavalieri in cotte di maglie o ragazzi della scuola di scherma medievale.

Purtroppo un simile sforzo dell’organizzazione non è stato sufficiente a richiamare attenzione sull’evento: all’inizio del concerto si potevano contare circa 150 presenze scarse in un Estragon semivuoto. Eppure i pochi presenti hanno mostrato di apprezzare le band, a cominciare dai bolognesi Yggdrasil. Da non confondere con l’omonima band viking dalla Svezia, il quartetto si ispira chiaramente al neofolk e al neoclassical darkwave. Con due chitarre acustiche e due voci, una maschile e una femminile, gli Yggdrasill producono un buon set, anche se troppo uniforme, per cui manca una canzone di spicco.

Ecco poi la sorpresa della serata: i Dornenreich in versione acustica. Lo storico duo austriaco di melodic black metal porta in scena l’ultimo album, “In Luft Geritzt”, che vede Eviga e Inve impegnati in complessi duetti di chitarra acustica e violino. Se il loro ultimo lavoro aveva suscitato qualche perplessità anche nei fan più accaniti, ogni dubbio scompare d’incanto appena i Dornenreich attaccano la prima canzone “Drang”: la dimensione live aggiunge emozione e forza alle canzoni dando spessore a tracce che nell’album sembravano piatte e ripetitive. Propongono anche la storica “Der Hexe Nächtlich' Ritt” dall’album “Hexenwind” riletta in chiave acustica: un buon esperimento, ma la canzone mantiene più fascino nella sua versione originale.


È quindi il turno dei Faun, che si riveleranno i più attesi della serata. Provenienti dall’ambiente neofolk tedesco, i Faun si caratterizzano per la prominenza del cantato corale affidato al biondo Oliver, che si occupa anche del bouzoki e della nyckelharpa (specie ghironda scandinava), e a Sandra e Fiona, che suonano rispettivamente il violino e la cornamusa; completano il gruppo Rüdiger alle percussioni e Niel alle basi elettroniche su un PC. Il quintetto sorprende per l’intensità con cui riesce a rendere i pezzi; un’esperienza decisamente diversa da quella dei dischi, dove la raffinatissima musica non è così immediata.

Per il concerto degli headliner, i Saltatio Mortis, rimandiamo alla recensione completa nel post precedente. Cosa dire in due righe se non che finalmente i muri dell’Estragon hanno vibrato e il pavimento ha tremato sotto i piedi, sotto i colpi dall’avanzata del rock medievale dei tedeschi?

Festival pienamente promosso, dunque.

Eppure l’invasione teutonica sembra essere passata sotto silenzio sui media, internet in primis: un pugno di segnalazioni non sono sufficienti per attrarre spettatori. Aggiungiamo poi la totale mancanza di manifesti e volantini a Bologna (almeno per quanto riguarda il centro storico) e nelle altre città italiane e la ragione delle scarse presenze diventa evidente. Un evento del genere avrebbe dovuto attrarre un pubblico maggiore, considerando il periodo d’oro che il folk, in particolare nella sua variante metal, sta vivendo. Forse però la spiegazione è più complessa e lascia spazio a uno scenario più desolante: il pubblico italiano non è pronto per questi generi “ibridi”, per queste band non classificabili nelle solite categorie. Facile allora snobbare un festival che raccoglie musica così atipica come quella presente al Dark Folk Fest (vedi anche gli In Extremo annunciati e poi cancellati al GOM), per poi lamentarsi, ovviamente, che “le band folk non suonano mai in Italia”. Questa volta però il folk rock e metal c’era e a prezzi più che ragionevoli; speriamo che quest’esperienza dalla scarsa affluenza non sia vista come una totale sconfitta e nuovi concerti di questo tipo si affaccino nel panorama musicale italiano.

venerdì 30 maggio 2008

Saltatio Mortis: il rock medievale arriva a Bologna

Saltatio Mortis, 25 Maggio 2008, Live @ Dark Folk Fest, Estragon, Bologna


Chissà cosa avranno pensato gli otto musicisti è dei Saltatio Mortis quando salgono sul palco di un Estragon semivuoto. Se per i Faun che li precedevano si erano radunati ben 150 fan, quando è stato il turno degli headliner del Dark Folk Fest nemmeno la metà dei paganti si è radunata sotto al palco
.

E, almeno inizialmente, una buona parte di questi sembrava fosse rimasta non per partecipare al concerto, ma solo per fare numero. Eppure, i tedeschi, da professionisti che sono, hanno provato a coinvolgere tutti, iniziando con tre scatenate canzoni puro stile “Mittelalter Rock”, mix di cornamuse, percussioni, ciaramelle (tipici flauti medievali), tratte dal nuovo album, “Aus Der Asche”, che, con ben 11 canzoni su 19, sarà il più rappresentato nella setlist della serata. Alea, il vocalist dai capelli rossi, un concentrato di energia pura in 1.70 scarsi, cerca di scuotere il pubblico dal torpore con l’aiuto della prima fila. Gli altri sette musicisti non sono da meno, soprattutto il virtuoso multi-strumentista Cordoban e il simpatico Thoron che passa con uguale disinvoltura dalla cornamusa alle percussioni.

La band sfodera i pezzi più rock dell’ultimo album, tra cui “Koma”, “Sieben Raben” e “Uns gehort die Welt”, che sembrano raccogliere consensi dal pubblico, prima di passare a una breve parentesi semiacustica. Ecco venire avanti il gigantesco batterista Lasterbalk con un tamburo in mano per introdurre “Choix des Dames” cantata in francese da Alea e Falk, di solito alla ghironda e cornamusa, seguita poi dalla storica “Equinox”. Non manca comunque nessuno dei pezzi più famosi, come “Tritt Ein”, durante la quale Alea riesce a far cantare il pubblico, dopo una “breve lezione di tedesco”, il trascinante combo di “Keines Herren Knecht” e “Falsche Freunde”, e la più elettronica “Dunkler Engel”.

Inaspettatamente l’esiguo pubblico italiano si scatena in cori di “Zugabe!”, cioè “Bis!”in tedesco, che convincono la band a tornare sul palco, soddisfacendo il pubblico che richiede “Licht und Schatten”. Chiude la serata la ballata acustica “Nichts Bleibt Mehr”, nella quale il chitarrista, Samoel e il bassista Frank, rimasti in posizione più defilata durante il concerto, hanno la loro occasione di stare nello spotlight.

Nei giganteschi festival tedeschi o davanti a una manciata di fan, i Saltatio Mortis non si risparmiano mai; e così è stato anche al Dark Folk Fest dove la band ha regalato ai pochi presenti uno show travolgente e dai suoni impeccabili, reso ancora più coinvolgente da un frontman come Alea, che non perde occasione per scambiare una battuta con il pubblico. Più di così non si poteva proprio chiedere ai Saltatio Mortis; il pubblico italiano invece avrebbe potuto partecipare maggiormente, sia in termini numerici sia durante il concerto.

Setlist:

Intro
Prometheus
Tod und Teufel
Worte
Salz der Erde
Wirf Den Ersten Stein
Koma
Irgendwo in meinem Geiste
Sieben Raben
Tritt Ein
Dunkler Engel
Uns gehort die Welt
Choix des Dames
Equinox
Varulfen
Keines Herren Knecht
Falsche Freunde
Spielmannsschwur

Licht und Schatten
Nichts Bleibt Mehr



Band
:


Alea der Bescheidene (vocals, chitarra, ciaramella, scacciapensieri, didgeridoo)
Cordoban der Verspielte (ciaramella, cornamusa, flauto, violino)
Bruder Frank (basso)
El Silbador (cornamusa, ciaramella)
Falk Irmenfried von Hasen-Mümmelstein (ghironda, ciaramella, cornamusa)
Lasterbalk der Lästerliche (batteria, percussioni)
Samoel (chitarra)
Thoron Trommelfeuer (ciaramella, cornamusa, percussioni)

domenica 6 aprile 2008

Månegarm: il lupo nordico

Il grande periodo di felicità del viking metal sta permettendo ad alcune band storiche di uscire dai confini della ristretta cerchia degli appassionati del genere per essere finalmente conosciute a sud della Scandinavia. Certo, ci vorrà ancora del tempo prima che i Månegarm valichino le Alpi fisicamente; intanto questo quintetto svedese, partito dal black metal più di dieci anni fa, ha prodotto il quinto album, Vargstenen, che sta raccogliendo sempre più consensi anche nel nostro paese.

Vargstenen è un disco dallo stampo viking con molti accenti folk, come dimostrano i virtuosismi del violini di Janne Liljeqvist in “Visioner på Isen” e nella più atmosferica “Vargbrodern Talar”. Al tempo stesso la band mantiene la forza bruta delle sonorità black del loro primo periodo e l’attacco della potente “Ur Själslig Död” ne è la piacevole conferma. I vocals di Erik Grawsiö rimangono per legati allo scream nella maggior parte dell’album, ma il cantante, che è anche batterista, da prova di grande duttilità sfoderando ad esempio una voce piena di calore nella traccia acustica finale “Eld”

L’intera opera può essere considerata un concept album per i testi in svedese legati alla mitologia nordica e per la ben riuscita armonia musicale tra tutti i pezzi. Vargstenen ha il grande pregio di non stancare l’ascoltatore, che può cogliere ogni volta nuove sfumature ed apprezzare appieno la complessità del disco. Insomma, un album che sembra non avere difetti: un eccellente viking metal con forti influenze black e folk che creano insieme un lavoro epico, consigliato a tutti, senza alcuna eccezione.


Band: Månegarm

Album: Vargstenen

Etichetta discografica: Black Lodge Records

Anno: 2007

Genere che più si avvicina all’album: Viking / Black / Folk Metal

Dove suoneranno: Summer Breeze

Pagina ufficiale: http://www.manegarm.com/

MySpace: http://www.myspace.com/manegarm

Tracce:

  1. Uppvaknande
  2. Ur Själslig Död (From Soul Death)
  3. En Fallen Fader (A Fallen Father)
  4. Den Gamle Talar (The Old One Speaks)
  5. Genom Världar Nio (Through The Nine Worlds)
  6. Visioner på Isen (Visions On The Ice)
  7. Vargbrodern Talar (The Wolf Brother Speaks)
  8. I Underjorden (In The Underworld)
  9. Nio Dagar, Nio Nätter (Nine Days, Nine Nights)
  10. Vargstenen (The Wolf Stone)
  11. Vedergällningens Tid (The Time Of Retaliation)
  12. Eld (Fire)

venerdì 28 marzo 2008

Tonight is Christy's night

Diciamolo subito: non è la musica che conta ma la voce dolce e al tempo stesso vigorosa di Christy Moore. Già perché nonostante il bodhràn (tamburo tradizionale irlandese) e la chitarra elettrica di Declan Sinnot e Donal Lunny lo accompagnino nei concerti, è soprattutto il canto di questo cantautore irlandese ormai sessantenne ad ipnotizzare le platee delle isole britanniche.

In questo disco live, Christy raccoglie molti dei suoi cavalli di battaglia: non possono quindi mancare “McIlhatton”, divertente canzone sulle disavventure di un produttore di whiskey e “Lisdoonvarna” che, ricordando l’omonimo festival scomparso di musica folk nel County Clare, racconta comicamente la lunga storia della musica irlandese, citando per nome i principali protagonisti (U2, The Chieftains, Van Morrison e lo stesso Christy Moore). A tracce leggere e ritmate vengono alternati pezzi impegnati come “Allende”, sul golpe in Cile, e “Biko Drum”, dedicata a Steve Biko, attivista sudafricano anti-apartheid. Si sfiora poi la poesia con “Wandering Aongus” di W.B. Yeats trasformata in una struggente ballata e in chiusura Christy suona “Metropolitan Avenue” per commemorare l’amico e collega scomparso Noel Brazil.
Se proprio dobbiamo trovare un difetto, l’unica pecca è la lunghezza del disco: appena 13 canzoni non riescono a rendere al meglio la magia dei concerti di Christy Moore. Live At Vicar Street è un album che cambierà la vostra idea di musica irlandese: da ascoltare tutto d’un fiato, ad occhi chiusi, immaginando di essere in platea tra centinaia di persone che si uniscono dolcemente nel coro finale di “Ride On”.


Band: Christy Moore

Album: Live At Vicar Street

Etichetta discografica: Newberry Recording

Anno: 2002

Genere che più si avvicina all’album: Folk Music

Dove suonerà: Christy è spesso in tour nelle isole Britanniche e in Europa Continentale e tutte le date sono pubblicate sul suo sito

Pagina ufficiale: http://www.christymoore.com/

Tracce:

  1. Continental Céilidh
  2. First Time Ever
  3. A Pair Of Brown Eyes
  4. Biko Drum
  5. Quiet Desperation
  6. McIlhatton
  7. January Man
  8. Allende
  9. Johnny Don’t Go
  10. Wandering Aongus
  11. Lisdoonvarna
  12. Ride On
  13. Tribute To Noel Brazil
  14. Metropolitan Avenue


martedì 25 marzo 2008

Pain: quando la musica elettronica è metal

Pain uguale Peter Tägtgren. Nel mondo del metal le band composte da un solo individuo non sono poi così inusuali, anche se sono poche quelle che riescono a produrre ben cinque album, un DVD live e suonano live come supporto dei Nightwish. Eppure lo svedese Peter Tägtgren è riuscito a raggiungere questi risultati con il suo progetto di metal elettronico e industrial nato nel 1997.

L’album Dancing With The Dead è stato creato da Peter senza l’aiuto di session members: composizione e registrazione sono nelle sole mani dello svedese. L’assenza di aiuti nel processo creativo contribuisce sicuramente a dare un tocco di uniformità elettronica al disco; al tempo stesso emergono tracce dove prevalgono forti ritmi techno e da voci distorte come “Don't Count Me Out” e “Tear It Up”. Le vere perle sono però quei pezzi dove il sintetizzatore crea abili orchestrazioni ad esempio in “Same Old Song” e “The Third Wave”, canzoni arrabbiate contro una società corrotta e spersonalizzante. Ma non dimentichiamoci che Peter Tägtgren è un abile chitarrista e tastierista: ecco quindi le tastiere dominare “Not Afraid To Die” e la chitarra costruire potenti riff in “Bye / Die”. A questo punto molti si chiederanno da dove viene questa fissazione per la morte che è il leit-motiv del disco. Che ci crediate o no, un attacco cardiaco ha colpito Peter Tägtgren e il suo cuore ha smesso di battere prima di essere rianimato. Questo evento non ha fatto rallentare il musicista svedese, che calca tutt’ora i palchi più energico che mai, ma ha sicuramente ispirato il testo della title track nel momento in cui dice “you know I already died once before".

Dancing With The Death è quindi un album dalle atmosfere molto oscure, percorso da una venatura costante di vocals arrabbiati e magnetici. È un disco indispensabile per gli amanti dell’industrial, mentre gli ascoltatori che non conoscono il genere potranno comunque apprezzare l’immediatezza dell’opera nonostante la presenza di elementi techno.


Band: Pain

Album: Dancing With The Dead

Etichetta discografica: Stockholm Records

Anno: 2005

Genere che più si avvicina all’album: Electronic / Industrial / Techno Metal

Dove suoneranno: in tour con i Nightwish

Pagina ufficiale: http://www.pain.cd/

MySpace: http://www.myspace.com/officialpain

Tracce:

  1. Don't Count Me Out
  2. Same Old Song
  3. Nothing
  4. The Tables Have Turned
  5. Not Afraid To Die
  6. Dancing With The Dead
  7. Tear It Up
  8. Bye / Die
  9. My Misery
  10. A Good Day To Die
  11. Stay Away
  12. The Third Way

domenica 23 marzo 2008

Alestorm: ma i pirati non bevono rum?

Cavalcando l’onda del recente revival del genere piratesco (cioè dopo il grande successo della trilogia Pirati dei Carabi), questo quartetto di Perth, Scozia, ci propone un disco di “Pirate Metal”. In realtà questo nome serve solo a definire il solito, classico, Power Metal, condito da testi che richiamano storie da taverna di capitani e vecchi lupi di mare. E il cantante Christopher Bowes potrebbe proprio essere un pirata: la sua voce sporca e roca sembra essere calibrata per farlo calare perfettamente nella parte. Accattivanti anche le sue tastiere che creano melodie che ben si adattano alle atmosfere piratesche, prendendo più di qualche spunto dalla colonna sonora della sopraccitata trilogia di film, ma dopo le prime canzoni diventa evidente che la base musicale è abbastanza ripetitiva. Si diversificano in parte “Over The Seas”, “Captain Morgan’s Revenge” e “The Huntmaster” nelle quali vengono introdotte melodie che ricordano per certi versi il folk scandinavo: è plateale l’influenza di band come i Turisas, soprattutto nelle canzoni più epiche.
Insomma, “Captain Morgan’s Revenge” è un disco poco innovativo, se si escludono i testi, e molto commerciale, come dimostra l’enorme campagna pubblicitaria che ha preceduto la sua uscita. Tuttavia bisogna riconoscere che è l’ideale per una serata a base di musica e birra: allegro, divertente, a tratti esilarante, questo album proietterà un ascoltatore di poche pretese in un mondo di “cutthroats and lowlifes” dal quale sarà difficile riemergere.


Band: Alestorm

Album: Captain Morgan’s Revenge

Etichetta discografica: Napalm Records

Anno: 2008

Genere che più si avvicina all’album: Power (Pirate) Metal

Dove suoneranno: Metalcamp, Wacken, Ragnarok

MySpace: http://www.myspace.com/alestorm

Tracce:

  1. Over the Seas
  2. Captain Morgan's Revenge
  3. The Huntmaster
  4. Nancy the Tavern Wench
  5. Death Before the Mast
  6. Terror on the High Seas
  7. Set Sail and Conquer
  8. Of Treasure
  9. Wenches & Mead
  10. Flower of Scotland (The Corries cover)

giovedì 13 marzo 2008

Fly to a dream: Nightwish live in Milan

Nightwish, 02 Marzo 2008, Palalido, Milano

Anette o Tarja, Tarja o Anette. Li senti discutere già ore prima del concerto, questi ragazzi accampati davanti ai cancelli del Palalido di Milano. Ma quando si spengono le luci e i quattro finnici e la svedese salgono sul palco, il pubblico esplode in un boato e si capisce subito che è pronto per scatenarsi. E lo è anche la band, che apre con l’accattivante “Bye Bye Beautiful”, forse per sottolineare maggiormente la dipartita di Tarja, e procede poi con “Dark Chest Of Wonders”, uno dei pezzi sicuramente più apprezzati del precedente album. Bastano poche canzoni per capire la fondamentale differenza fra la nuova band e la vecchia: anche se la voce di Anette non raggiungerà mai ai livelli lirici di Tarja, la svedese è assai più dinamica sul palco. Anette intrattiene il pubblico, interagisce con i fan e diverte insieme ai ragazzi: Jukka mai così potente dietro alla gigantesca batteria, Emppu che corre da un lato all’altro del palco, Tuomas con le sue quattro tastiere. Marco, poi, ha ormai ottenuto il ruolo di co-frontman: bravissimo sia a suonare che a cantare con la sua voce growl, nonostante le bottiglie di vodka che si scola sul palco. Eccezionale poi su “The Islander”, in cui è praticamente il protagonista assoluto: seduto su una sedia, ha scambiato il basso con la chitarra e riesce a tirare fuori una voce morbida e dolce per questo pezzo acustico.

Sulle vecchie canzoni si sente un po’ la mancanza di Tarja: una su tutte, “Sacrament Of Wilderness”, che è irriconoscibile e perde quasi tutto il suo fascino. Non sarebbe stato meglio scegliere un pezzo dagli album successivi dove la voce di Tarja non era più così impostata in modo lirico? Infatti riescono assai meglio le performance sulle canzoni tratte da Once, come “The Siren” e “Nemo”, resa magica dai fiocchi di neve che cadono sul pubblico. La scelta della setlist non è del tutto felice: mancano alcuni pezzi storici in uno show tutto incentrato, per ovvie ragioni, sul nuovo album, Dark Passion Play. Ma, senza proporre materiale troppo complesso per la voce di Anette, alcuni pezzi più deboli come “Whoever Brings On The Night” e “Sahara” avrebbero potuto essere sostituiti con canzoni più convincenti prese sempre dall’ultimo disco, in primis “For The Heart I Once Had”. Critica finale: con 14 pezzi compressi in un’ora e mezzo, il concerto è sembrato un po’ troppo breve, anche se l’energia e la simpatia della band non l’hanno fatto pesare troppo.

Setlist:

Bye Bye Beautiful
Dark Chest of Wonders
Whoever Brings The Night
Ever Dream
The Siren
Amaranth
The Islander
The Poet And The Pendulum
Sacrament Of Wilderness
Sahara
Nemo

Seven Days To The Wolves
Wishmaster

Wish I Had An Angel

Same old song: Pain's first concert in Italy

Pain (support dei Nightwish), 02 Marzo 2008, Palalido, Milano

Alle 20 in punto ecco salire per la prima volta su un palco italiano lo svedese Peter Tägtgren e i suoi Pain che attaccano subito con la classica “Same Old Song”. La band è energica ed in splendida forma, nonostante l’aggressione subita qualche giorno prima in Germania, di cui sono ben visibili i segni sul volto del cantante. Ed è proprio la voce di Peter a dominare il suono, mentre la batteria di David Wallin rimane un po’ debole, almeno all’inizio. Ecco partire poi la cover dei Beatles “Eleanor Rigby”, che il pubblico non sembra riconoscere ma apprezza comunque, grazie anche all’energia del bassista Johan Husgafvel e del chitarrista Marcus Jidell. La band sembra determinata a sfruttare al massimo i trenta minuti a loro disposizione eseguendo in rapida successione “End Of The Line” e “Zombie Slam”. Dopo un coinvolgente “Nailed To The Ground”, Peter ringrazia e presenta la band, prima di riprendere lo show con un pezzo più lento, “Just Hate Me”, e l’ipnotica “On And On” e concludere con l’elettronica “Shut Your Mouth”. Se per i fan della band, la resa live si è dimostrata ottima, il resto del pubblico ha stentato ad apprezzare la proposta innovativa del gruppo, anche se è da riconoscere che i Pain si sono comportati da grandi professionisti e magari qualcuno nell’audience si sarà scoperto un loro fan.

Setlist:

Same Old Song
Eleanor Rigby
End Of The Line
Zombie Slam
Nailed To The Ground
Just Hate Me
On And On
Shut Your Mouth