martedì 24 giugno 2008

Bruce Springsteen @ San Siro, Milano, 2008 – Take 2#

Lo sparuto gruppetto a cui si accennava nel post sottostante assume in realtà proporzioni variabili. Il motivo ? Non mere questioni fisiologiche: è tutto merito (o colpa) della Lista. La Lista è un mezzo per portare una parvenza di ordine nel caos dell’attesa, un modello per combattere la naturale entropia del sistema-concerto. Questa strabiliante invenzione è da attribuire ai fan di Springsteen, ma è stata applicata, con diverso successo, anche da spettatori di altri artisti.

Straordinaria nella sua semplicità, essa consiste nel segnare su un apposito foglio l’ordine di arrivo dei fan alla venue. Una volta ufficialmente iscritti, è sufficiente presentarsi agli appelli che avvengono ogni due o tre ore.
Qualcuno potrebbe sorridere: un metodo così astruso per non stare in fila qualche ora! E’ però più che logico se si considera che i fan del boss si accampano davanti ai cancelli anche un giorno prima del concerto e in alcuni casi, che sfiorano il patologico, anche con quattro o cinque giorni di anticipo.

Come tutte le creazioni della mente umana, la Lista non è infallibile. Infatti il capolista chiude speso un occhio se i suoi amici saltano un appello. Inoltre se c’è più di un’entrata, si presenta invariabilmente il problema di come ripartire i fan in modo equo: le contestazioni sono sempre in agguato.

Forse il vero merito della Lista è di rimandare la furiosa battaglia per la prima fila al fatidico momento dell’apertura dei cancelli. Infatti in quei 100 metri corsi con il cuore in gola e sulle spalle i litri di acqua che la polizia non è riuscita a sequestrare può accadere di tutto. Non è raro ritrovarsi alla fine più avanti o indietro di quanto dovuto. A quel punto però è inutile recriminare:la Lista è la legge solo fuori dai cancelli.


P.S. Per queste righe vale lo stesso disclaimer delle precedenti: non prendetele troppo sul serio

Bruce Springsteen @ San Siro, Milano, 2008 – Take 1#

Forse qualche residente del quartiere San Siro, rientrando a casa dal lavoro, si stropiccerà gli occhi affaticati dalla prima calura estiva, meravigliandosi alla vista di uno sparuto gruppetto di gente radunato davanti ai cancelli dello stadio. Questo milanese medio getterà un’occhiata di sfuggita all’orologio della propria automobile: che abbia perso un giorno? Convinto com’è che quel giorno al Meazza non ci debba essere alcun evento, si arrovella un attimo sull’apparente contraddizione prima dell’improvvisa illuminazione:

“Quel cantautore americano ….. Springsteen……. suona domani. Vuoi vedere che quei pazzi sono già là per lui?”

Il nostro professionista legge, dopotutto, i quotidiani: molti hanno dedicato qualche riga o qualche pagina, virtuale o cartacea, al Boss e al suo terzo concerto a San Siro. Il Corsera ha ripescato addirittura gli articoli e le foto dei memorabili show del 1985, esordio del Boss nello stivale, e del 2003, suo trionfale ritorno sotto un violento acquazzone.

“Ah, questi giovani” sospira l’ignoto residente, tra il divertito e l’infastidito, mentre preme sull’acceleratore, ansioso di trovare un posteggio libero che gli permetta di sfuggire all’infernale traffico di Milano; sarebbe molto sorpreso se gli venisse detto che i giovani, i ventenni, saranno in minoranza quella notte. Infatti le sofferte nottate per guadagnare una prima fila non sono proprio per i neofiti, cioè gli under 20: la maggioranza è composta da trentenni, seguiti da un buon numero di quarantenni. Non manca nemmeno l’occasionale cinquantenne, al suo n-esimo concerto, indifferente all’invidia che suscita con i suoi minuziosi racconti della sua vita passata alle calcagna del Boss.

Di certo questo stanco lavoratore, che, appena varcata la soglia dell’appartamento, è stato accolto dall’abituale litigio tra la figlia in piena ribellione adolescenziale e la madre preoccupata, non immagina che, una volta dentro allo stadio, quegli attempati spettatori si scatenano molto di più della sua adolescente al concerto di Madonna. Per avere il magico braccialetto, il pass per il pit (la zona sotto al palco, ndr) ogni mezzo è lecito: altro che “Peace, Love & Understanding”! E, raggiunta questa zona per gli eletti, non ci si ferma finché non si tocca la transenna. A Bruce non sembra importare: lui adora lo sfrenato pubblico italiano. I fan stranieri, venuti in Italia spinti dalle leggende degli indimenticabili show italiani del Boss, sono un po’ meno contenti e inorridiscono quando l’esuberanza sfocia nella maleducazione e nella prepotenza.

Intanto, nell’appartamento milanese, mentre la ragazzina e il suo pestifero fratello si contendono il telecomando della TV ultrapiatta, i loro genitori si trovano a discutere, come avviene ogni volta che il Meazza viene preso d’assalto per partite o concerti, se non è il caso di trovare un’altra casa.

“Guarda che stavolta le auto dei non residenti non entrano nel quartiere” dice lui fiducioso.

“Macché” ribatte lei acida “secondo te, quelli là davanti allo stadio dove hanno lasciate le macchine? E domani, chi gliele fa spostare più?”

Incredibile, ma anche davanti ai cancelli si parla di posteggi: dove portare le macchine quando scatta l’ora X, alle 13, chi rimane in fila, quanto sono distanti i parcheggi….. un vero e proprio piano di battaglia. Poi ci si prepara per la notte: non che si dorma molto in realtà, tra il rumore del traffico, il chiacchiericcio e il duro asfalto. Fastidi da niente, per i seguaci del Boss: ogni singolo minuto di attesa sarà pienamente ripagato dalle quasi tre ore di concerto.

“Semel in anno licet insanire” dicevano i latini: per i fan(atici) di Springsteen però non avviene a Carnevale.

P.S. Per chi non l'avesse capito questo pezzo è ironico e soprattutto autoironico

giovedì 19 giugno 2008

In Extremo: peccatori sfrenati

Con gli In Extremo ci troviamo nel mondo dei generi ibridi che sfiorano sia il metal che il folk senza però possedere tutti i connotati propri del Folk Metal. Per questo motivo in Germania hanno coniato un termine per definire tutte quelle band che si presentano sul palco con cornamuse, arpe, chitarre elettriche e batteria: “Mittelalter Rock”, Medieval Rock.

Questa caratterizzazione è perfetta per un disco come Sünder ohne Zügel (lett. Peccatori sfrenati) nel quale sono presenti pezzi cantanti in latino (“Stetit Puella”) , pezzi tratti dal folklore tedesco (“Merseburger Zaubersprüche II”) e canzoni rock accattivanti (“Wind”). Forse i pezzi che meglio rappresentano la fusione che la band opera tra antico e moderno, folk e rock, sono “Vollmond” e “Der Rattenfänger”. Il testo della prima traccia è tratto dalle opere del poeta francese François Villon, ma cantato su una base di chitarre distorte accompagnate dal suono limpido delle cornamuse, mentre la seconda canzone mette in musica un poema di Goethe sul pifferaio magico di Hamelin. Non possono poi mancare le escursioni nella lingua latina con rivisitazioni dei Carmina Burana: dopotutto il nome della band (che significa proprio “all’estremo”) è tratto dal latino. In “Le 'or Chiyuchech” si cimentano invece in un pezzo popolare ebraico, ma anche qui non mancano riff di chitarra che modernizzano la canzone.

Se nel 2002 questo album rappresentava una nuova, innovativa sintesi musicale, anche adesso, nonostante siano spuntate molte altre band che propongono una musica simile, rimane uno dei capisaldi del Medieval Rock tedesco.

Band: In Extremo

Album: Sünder ohne Zügel

Etichetta discografica: Island Records

Anno: 2002

Genere che più si avvicina all’album: Medieval Rock

Dove suoneranno: Metalcamp, Feuertanz Festival

Pagina ufficiale: http://www.inextremo.de

MySpace: http://www.myspace.com/inextremoband

Tracce:

  1. Wind (In Extremo)
  2. Krummavísur (Jón Thoroddsen - Musica tradizionale - In Extremo)
  3. Lebensbeichte (Carmina Burana, 11th or 12th century/In Extremo)
  4. Merseburger Zaubersprüche II (autore sconosciuto del IX o X secolo - In Extremo)
  5. Stetit Puella (Carmina Burana, XI o XII secolo - In Extremo)
  6. Vollmond (François Villon, XV secolo – In Extremo)
  7. Die Gier (In Extremo)
  8. Omnia Sol Temperat (Carmina Burana, XI o XII secolo - In Extremo)
  9. Le'or Chiyuchech (In Extremo - Neeman)
  10. Der Rattenfänger (Goethe - In Extremo)
  11. Óskasteinar (Hildigunnur Halldórsdóttir - Musica tradizionale - In Extremo)
  12. Nature Nous Semont (Jean de Beaumont - In Extremo)
  13. Unter dem Meer (In Extremo)


lunedì 16 giugno 2008

L'ennesima fatica di Mr. V.

Sembra proprio che lo svedese Andreas Hedlund non conosca paralisi creative: dopo aver fondato le band Otyg, Fission, Cronian, Borknagar e Vintersorg, che utilizza anche come nome d’arte, abbreviato spesso in Mr. V, ecco spuntare nel 2006 Waterclime, un solo-project incentrato sul rock progressivo.

The Astral Factor si discosta quindi dagli album metal prodotti da Vintersorg. Le chitarre si mantengono pulite per quasi tutto l’album e le tastiere ricordano molto i suoni dell’organo Hammond come in “The Astral Factor”, una delle tracce più orecchiabili, nonostante le lyrics legate all’astronomia e all’universo. “Midnight Flyer”, cover di David Byron, storico cantante degli Uriah Heep, è un’altra canzone di facile ascolto, in cui il suono si fa più sporco e il ritmo dettato dalla batteria diventa più veloce. Tutto l’album ricorda in modo impressionante le sonorità del progressive rock degli anni Settanta, senza però assumere i connotati psichedelici dell’epoca. Semmai la sperimentazione di Mr. V si avvicina maggiormente al jazz nelle ultime tracce del disco, “Scarytale” e “Timewind”.

Il primo album di Waterclime è in conclusione e un’opera complessa e di non facile ascolto. Anche i fan di Vintersorg vi ritroveranno ben poche somiglianze con gli altri lavori dell’artista: solamente la voce e le tematiche legate alla natura e al cosmo permettono di identificare il disco come un prodotto di Mr. V. The Astral Factor è consigliato a chi già ascolta il progressive rock; sarà invece una sfida apprezzare questo disco per chi è maggiormente orientato verso il metal.


Band: Waterclime

Album: The Astral Factor

Etichetta discografica: Lion Music

Anno: 2006

Genere che più si avvicina all’album: Progressive Rock

MySpace: http://www.myspace.com/waterclime

Tracce:

  1. Mountains
  2. Floating
  3. The Astral Factor
  4. Diamond Moon
  5. Painting Without Colours
  6. Midnight Flyer
  7. Scarytale
  8. Timewind



domenica 15 giugno 2008

Runrig: rockin' the Highlands

I Runrig sono uno dei pochi gruppi scozzesi di successo; il merito va soprattutto alla magica alchimia di musica folk tradizionale e sonorità più legate al rock. The Highland Connection è il secondo album di questa band proveniente dalla piccola e impervia Isola di Skye. Prodotto nel 1979, fu all’epoca un fulmine a ciel sereno che sconvolse il panorama musicale scozzese.

Infatti i Runrig raccolgono in parte l’eredità delle band di folk rock americano: rock, chitarre distorte e strumenti tradizionali, mantenendo però i testi in gaelico. In alcune tracce, “Fichead Bliadhna” su tutte, le chitarre distorte raggiungono melodie epiche. Ma il clou del disco è una ballad in inglese, “Loch Lomond”: Donnie Munro mette i brividi dando voce a un anonimo ribelle scozzese, giustiziato nel Settecento. “Morning Tide” sfoggia anch’essa un ritornello accattivante mentre è più deludente l’altra ballata in inglese “Going Home”, forse il punto debole del disco.

È da notare che le tracce strumentali “What Time” e “The Twenty Five Pounder” non sono niente similari ai classici pezzi “da pub”: la cornamusa e la fisarmonica di Malcolm Jones non dominano il pezzo ma dialogano con gli altri strumenti. Solo un paio di canzoni sono in realtà delle composizioni tradizionali, ad esempio “Gamhna Gealla”, e vengono comunque arrangiati in chiave elettrica dai fratelli Rory e Calum MacDonald, rispettivamente bassista e percussionista della band. Trent’anni di distanza non riescono a scalfire la freschezza e l’immediatezza di questo disco, consigliato in primis a chiunque ami la Scozia, ma anche a chi vuole viaggiare con la mente tra le vallate e laghi scozzesi battuti dal vento.


Band: Runrig

Album: The Highland Connection

Etichetta discografica: Ridge

Anno: 1979

Genere che più si avvicina all’album: Scottish Folk Rock

Dove suoneranno: i Runrig sono spesso in tour in Scozia, Germania e Danimarca, e tutte le date sono sul loro sito web

Pagina ufficiale: http://www.runrig.co.uk/

MySpace: http://www.myspace.com/runrigofficial

Tracce:

  1. Gamhna Gealla
  2. Mairi
  3. What Time
  4. Fichead Bliadhna - Na Luing air Seoladh
  5. Loch Lomond
  6. Na h-uain A's t-Earrach
  7. Foghar nan Eilean '78
  8. The Twenty Five Pounder
  9. Going Home
  10. Morning Tide
  11. Cearcal a Chuain

giovedì 12 giugno 2008

Reprise: un'odissea nella terra del ghiaccio

Avevamo lasciato Bragi lo Scaldo spinto dalla sete di vendetta alla fine di Red For Fire. nel sesto album dei Solefald, Black For Death la conclusione della saga è affidata alla voce di Loki, dio astuto e ingannatore del Panteon nordico.

Qui è il violino che apre le danze su “Red For Fire, Black For Death” e rimane presente anche quando la canzone si trasforma in un pezzo black. La musica si fa più ambient in “Queen In the Bay of Smoke”, dove si ricordano le menzogne della regina islandese, e diventa più heavy in “Silver Dwarf”, dove Bragi riceve una lezione di coraggio da un nano.

Il sassofono che aveva aperto il precedente capitolo della saga torna nell’intermezzo strumentale “Underworld”, che porta all’energica “Necrodyssey” di Bragi attraverso il mondo sotterraneo.

E così, dopo recitazioni di parti del Lokasenna (quella parte dell’Edda Poetica nella quale si racconta del litigio di Loki con gli altri dei), si arriva a “Loki Trickster God” che riprende la musica di “White Frost Queen” dall’album precedente. Questa volta, per narrare di come Loki aveva ricattato la regina, c’è un formidabile Trickster G. (Garm degli Ulver) a interpretare il dio ingannatore.

Ma il destino di Bragi è segnato: uccide il re e ferisce Loki prima di venire lui stesso colpito a morte, mentre la regina fugge, questi ultimi eventi concitati rappresentati nella strumentale “Dark Waves Dying”, dove torna in primo piano ancora il sassofono per un effetto jazz. Infine “Sagateller” affida l’ultima parola ai bardi e poeti che raccontano le gesta dei popoli nordici, quasi un inno alla loro opera.

È inevitabile il confronto tra i due capitoli della saga nordica dei Solefald. Ovviamente Black For Death è meno originale di Red For Fire, perché riprende molti temi del suo predecessore sia musicalmente che a livello di testi. I due album però sono ancora una volta la prova di come il duo Cornelius-Lars sia capace di sfornare un’opera complessa e innovativa, ma al tempo stesso ascoltabile e apprezzabile con abbastanza immediatezza.


Band: Solefald

Album: Black For Death: An Icelandic Odissey: Part II

Etichetta discografica: Season of Mist

Anno: 2006

Genere che più si avvicina all’album: Avantgarde Black Metal

Pagina ufficiale: http://www.solefald.no

MySpace: http://www.myspace.com/solefaldofficial

Tracce:

  1. Red For Fire, Black For Death
  2. Queen In the Bay of Smoke
  3. Silver Dwarf
  4. Underworld
  5. Necrodyssy
  6. Allfathers
  7. Lokasenna Part 2
  8. Loki Trickster God
  9. Spoken to the End of All
  10. Dark Waves Dying
  11. Lokasenna Part 3
  12. Sagateller

Un'odissea nella terra del ghiaccio

Un accenno alla biografia di questo duo norvegese è d’obbligo: alla chitarra, basso e voce troviamo Cornelius Jakhelln, scrittore e filosofo con addirittura due Ph.D in Filosofia, mentre al sintetizzatore, batteria e voce c’è Lars Nedland, che è presentatore televisivo ma nel frattempo milita nei Borknagar, e ha fatto parte di Asmegin e Carpathian Forest.

Da sempre caratterizzati dalla voglia di sperimentare sia a livello di suoni che di testi, i Solefald non cambiano rotta per Red For Fire, il quinto album del gruppo. Sorprende infatti il sassofono che apre l’album, sfumando poi in un crescendo epico nella prima traccia “Sun I Call”. Poi il suono diventa martellante mentre Bragi lo Scaldo, il poeta, racconta in “Survival of the Outlaw” del suo ingiusto esilio decretato dal re islandese sulla base delle false accuse della regina. Ecco poi i malvagi nani spingere Bragi nel sottosuolo, condannandolo a sopportare svariate ordalie in “Where Birds Have Never Been”. Il resoconto delle sue sofferenze è interrotto dalla melodica “White Frost Queen” dove Aggie Frost Peterson da voce alla regina e duetta con un violino. Ma ritorniamo al nostro protagonista nell’epica “Crater of the Valkyries”, pezzo dal tono black melodico, in cui Odino concede a Bragi di tornare a Reykjavik per avere giustizia. Infine in “Sea I Called” viene ripreso in chiave elettrica il tema iniziale della prima canzone con il poeta che canta nuovamente i versi di apertura.

Si conclude così (provvisoriamente) questa odissea islandese. Ai Solefald va sicuramente riconosciuto il merito di aver creato un concept album staccandosi dai soliti racconti della mitologia scandinava. Anche rispetto alla musica si deve sottolineare l’originalità dell’album, con forti influenze jazz e ambient anche nei pezzi dove si spinge di più sul pedale del distorsore. Non fatevi perciò trarre in inganno dalla tematica legata al mondo nordico e vichingo: Red For Fire rimane un album sperimentale al 100% sia nei testi che nei suoni.

Band: Solefald

Album: Red For Fire: An Icelandic Odissey: Part I

Etichetta discografica: Season of Mist

Anno: 2005

Genere che più si avvicina all’album: Avantgarde Black Metal

Pagina ufficiale: http://www.solefald.no

MySpace: http://www.myspace.com/solefaldofficial

Tracce:

  1. Sun I Call
  2. Survival of the Outlaw
  3. Where Birds Have Never Been
  4. Bragi
  5. White Frost Queen
  6. There Is Need
  7. Prayer of A Son
  8. Crater of the Valkyries
  9. Sea I Called
  10. Lokasenna

martedì 10 giugno 2008

Viaggio nella desolazione della vita

Gli Agalloch non calcano grandi palchi (anzi di live shows ne fanno ben pochi) ma questi tre ragazzi dell’Oregon sono riusciti a produrre con ogni album un capolavoro sconosciuto alla gran parte del mondo Metal.

The Mantle, il loro secondo album, apre sulle note dell’evocativo intro ambient “A Celebration For The Death Of Man...”, ma non lasciatevi ingannare: già sulla canzone successiva John Haughm si cimenta in un cantato screaming alternato a cori eterei. Le chitarre acustiche sono prominenti un po’ in tutto l’album, persino su “I Am The Wooden Doors”, il pezzo forse più black dell’opera, mentre su “The Lodge” lasciano spazio al suono più fosco di un violoncello. Eleganti e curate, le canzoni scorrono l’una dopo l’altra come se fossero una traccia unica, e in effetti sono un continuum sia musicalmente che per quanto riguarda i testi, intensi, complessi e decisamente criptici. Una vena gotica e lugubre scorre per tutto l’album, passando dalla ricerca di Dio, all’oscurità delle tombe, a fantasmi disperati, fino a una riflessione sulla fragilità della vita e della Terra.

La musica magica e sublime degli 11 minuti di “The Hawthorne Passage”, a tratti più epica e solenne, a tratti più atmosferica e evocativa, ci porta verso quella che è la conclusione perfetta, “A Desolation Song”, che racchiude ed esprime intensamente lo spirito di solitudine e desolazione dell’intero disco, con Haughm che sussurra all’ascoltatore ormai ipnotizzato la sua tragica visione della vita in cui nemmeno l’amore è capace di dare sollievo.

In conclusione, questo è un album che, per essere americano, racchiude raffinatissimi pezzi dalle sonorità decisamente europee, anzi scandinave. Atmosferico e solenne, con quella giusta dose di black per non renderlo troppo soft, The Mantle è un disco perfetto per chiunque voglia sentire una musica originale e ricercata.


Band: Agalloch

Album: The Mantle

Etichetta discografica: The End Records

Anno: 2003

Genere che più si avvicina all’album: Atmospheric Post – Black Metal

Pagina ufficiale: http://www.agalloch.org/

MySpace: http://www.myspace.com/agalloch

Band:

John Haughm − vocals, guitar
Don Anderson − guitar
Jason William Walton − bass guitar

Tracks:

  1. A Celebration for the Death of Man...
  2. In the Shadow of Our Pale Companion
  3. Odal
  4. I Am the Wooden Doors
  5. The Lodge
  6. You Were but a Ghost in My Arms
  7. The Hawthorne Passage
  8. ...and the Great Cold Death of the Earth
  9. A Desolation Song


venerdì 6 giugno 2008

Tra cavalieri e menestrelli al Dark Folk Fest di Bologna

Dark Folk Fest, 25 Maggio 2008, Estragon, Bologna


È comparso un nuovo evento per i fan del folk rock e metal: il Dark Folk Fest organizzato da Bologna Rock City per il 25 Maggio 2008. La prima edizione di questo festival, nato come “fratello” folk del più famoso Dark Fest di stampo gotico della stessa organizzazione, ha visto i Saltatio Mortis come headliner e poi, s
cendendo nella lineup, Faun, Dornenreich e Yggdrasill.

Ma, prima del report del concerto, non si può non accennare all’encomiabile tentativo di creare un piccolo mercato medievale davanti all’Estragon. Tra un bicchiere di idromele e una pinta di birra artigianale, il pubblico ha potuto curiosare tra stand di armi medievali e venditori di mantelli elfici, ed assistere a duelli tra cavalieri in cotte di maglie o ragazzi della scuola di scherma medievale.

Purtroppo un simile sforzo dell’organizzazione non è stato sufficiente a richiamare attenzione sull’evento: all’inizio del concerto si potevano contare circa 150 presenze scarse in un Estragon semivuoto. Eppure i pochi presenti hanno mostrato di apprezzare le band, a cominciare dai bolognesi Yggdrasil. Da non confondere con l’omonima band viking dalla Svezia, il quartetto si ispira chiaramente al neofolk e al neoclassical darkwave. Con due chitarre acustiche e due voci, una maschile e una femminile, gli Yggdrasill producono un buon set, anche se troppo uniforme, per cui manca una canzone di spicco.

Ecco poi la sorpresa della serata: i Dornenreich in versione acustica. Lo storico duo austriaco di melodic black metal porta in scena l’ultimo album, “In Luft Geritzt”, che vede Eviga e Inve impegnati in complessi duetti di chitarra acustica e violino. Se il loro ultimo lavoro aveva suscitato qualche perplessità anche nei fan più accaniti, ogni dubbio scompare d’incanto appena i Dornenreich attaccano la prima canzone “Drang”: la dimensione live aggiunge emozione e forza alle canzoni dando spessore a tracce che nell’album sembravano piatte e ripetitive. Propongono anche la storica “Der Hexe Nächtlich' Ritt” dall’album “Hexenwind” riletta in chiave acustica: un buon esperimento, ma la canzone mantiene più fascino nella sua versione originale.


È quindi il turno dei Faun, che si riveleranno i più attesi della serata. Provenienti dall’ambiente neofolk tedesco, i Faun si caratterizzano per la prominenza del cantato corale affidato al biondo Oliver, che si occupa anche del bouzoki e della nyckelharpa (specie ghironda scandinava), e a Sandra e Fiona, che suonano rispettivamente il violino e la cornamusa; completano il gruppo Rüdiger alle percussioni e Niel alle basi elettroniche su un PC. Il quintetto sorprende per l’intensità con cui riesce a rendere i pezzi; un’esperienza decisamente diversa da quella dei dischi, dove la raffinatissima musica non è così immediata.

Per il concerto degli headliner, i Saltatio Mortis, rimandiamo alla recensione completa nel post precedente. Cosa dire in due righe se non che finalmente i muri dell’Estragon hanno vibrato e il pavimento ha tremato sotto i piedi, sotto i colpi dall’avanzata del rock medievale dei tedeschi?

Festival pienamente promosso, dunque.

Eppure l’invasione teutonica sembra essere passata sotto silenzio sui media, internet in primis: un pugno di segnalazioni non sono sufficienti per attrarre spettatori. Aggiungiamo poi la totale mancanza di manifesti e volantini a Bologna (almeno per quanto riguarda il centro storico) e nelle altre città italiane e la ragione delle scarse presenze diventa evidente. Un evento del genere avrebbe dovuto attrarre un pubblico maggiore, considerando il periodo d’oro che il folk, in particolare nella sua variante metal, sta vivendo. Forse però la spiegazione è più complessa e lascia spazio a uno scenario più desolante: il pubblico italiano non è pronto per questi generi “ibridi”, per queste band non classificabili nelle solite categorie. Facile allora snobbare un festival che raccoglie musica così atipica come quella presente al Dark Folk Fest (vedi anche gli In Extremo annunciati e poi cancellati al GOM), per poi lamentarsi, ovviamente, che “le band folk non suonano mai in Italia”. Questa volta però il folk rock e metal c’era e a prezzi più che ragionevoli; speriamo che quest’esperienza dalla scarsa affluenza non sia vista come una totale sconfitta e nuovi concerti di questo tipo si affaccino nel panorama musicale italiano.